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lunedì 8 aprile 2013

Racconti di vita meridionale (post serio, privo di umorismo)


Rispetto a molti altri figli del sud, io mi ritengo fortunato, perché nato in una famiglia che con enormi sacrifici è riuscita a far proseguire gli studi universitari a mio fratello. I miei appena sposati non possedevano nulla, io da piccolo ero "costretto" a vestirmi con gli abiti dei miei cugini più grandi, sul pane e pomodoro non ci potevamo permettere neanche l'olio extravergine d'oliva perché troppo caro. Ero invidioso degli altri che stavano bene. Non ho mai ricevuto un giocattolo "di marca", il motorino, nulla. Erano sogni. 
In più vivevo in un quartiere denominato "167" dove per "vivere" dovevi farti rispettare o venivi bullizzato dalla mattina alla sera.

Si tirava avanti e con il sorriso stretto.
Poi la svolta. I sacrifici dei miei genitori iniziano a dare i frutti e ricordo la prima automobile comprata nuova di zecca che andava a sostituire il catorcio di famiglia, alimentato a piscio.
I miei iniziarono a comprarci i vestiti, giocattoli, quaderni per andare a scuola e ci concedevamo anche qualche scampagnata fuori paese di tanto in tanto. "Premetto che in tutti quegli anni, mio padre e mia madre non andavano neanche a prendersi un caffé al bar perché si doveva risparmiare, perché dovevano spianare la strada per il nostro e il loro futuro"

Intorno ai 14 anni stavo bene, non mi mancava nulla, ma il di più non lo potevo avere perché i miei genitori hanno sempre cercato di insegnare a me e mio fratello di usufruire solo del necessario. I vizi e gli sfizi ce li dovevamo sudare.

Oggi più che mai quella frase la incornicerei.

Il mio primo telefono cellulare lo comprai con i soldi guadagnati pulendo i tavoli di una pizzeria e non lo comprai per fare il figo, ma per necessità, perché andavo all'istituto alberghiero di Termoli che distava 60 km da mio paesello in Puglia e quindi se mi succedeva qualcosa non potevo di certo comunicare con i segnali di fumo. La paghetta settimanale non sapevo neanche cos'era. Giuro, mai avuta.
Però, io e la mia famiglia avevamo qualcosa che manca oggi ai giovani e alle altre famiglie: LA DIGNITA'.

Se ce l'hai riesci a superare anche i momenti più duri della tua vita e combatti giorno per giorno senza mai arrenderti. Oggi i ragazzini vogliono solo apparire, non vogliono nemmeno lavorare, vogliono tutto, subito e senza tanti complimenti e non conoscono la parola sacrificio, che ha permesso me e la mia famiglia di vivere dignitosamente e senza tante pretese. Sono un figlio del sud che è emigrato per tanti anni al nord lavorando nelle cucine degli alberghi e nei ristoranti, dormendo spesso nei "sottoscala" dove la notte tra zanzare e umidità sembravo uno zombie intossicato. I rumeni stavano meglio di me. Eppure non mi lamentavo perché ero conscio che mi potevo realizzare. Ero anche a volte emarginato quando vivevo al nord, perché appena sentivano che provenivo dal sud, dalla provincia di Foggia, mi appellavano con il termine "terun", "delinquente" e "camorrista". Per questo, ringraziavo i tanti terroni che andavano in vacanza in riviera e si comportavano peggio degli animali, per poi tornarsene nei loro squallidi paesini a fare le pecorelle.

Io a tutto questo non ci stavo e stringevo i denti. Sono tornato al sud, ho aperto il mio piccolo locale ristorativo e cerco tutti i gironi di dimostrare che tutti si possono realizzare se si ha volontà.